Sono ormai diversi anni che sono su Linkedin e ho potuto mettere in luce i miei sviluppi, vedere quelli altrui e, al contempo, migliorare il modo in cui presentare e far trovare il mio profilo e condividendo anche alcuni pensieri o traguardi professionali.
Nella prima fase, di scoperta, nella quale cercavo lavoro dopo la laurea magistrale, non avevo le nozioni per avere un profilo come quello di adesso e pensavo prevalentemente a due cose: aumentare il numero di contatti e ad inserire quanto prima delle esperienze lavorative – ok, lo ammetto: mi piaceva l’idea che aumentassero i pallini su un’azienda per mostrare i miei progressi al suo interno.
L’estate scorsa ho avuto modo di puntare sulla mia formazione indipendentemente dal lavoro – ma nemmeno fine a sé stessa – ed ho approfondito lo studio di questo social network (perché di social network si parla).
Per prima cosa, ho ottimizzato il mio profilo per renderlo visibile anche in ottica di SEO di Google e ho imparato a creare rete in un modo aggiuntivo scambiando segnalazioni e conferme competenze, per quanto preferisca scoprire cosa pensano apertamente le persone di me.
Tuttavia, non è tutto oro quel che luccica!
Purtroppo, su Linkedin non è tutto condivisione di successi – ed insuccessi -, solidarietà e sostegno tra persone, aiuto concreto e potersi proporre e proporre per nuove accattivanti avventure nel mondo lavorativo.
L’ego degli utenti è a livelli altissimi. Sono capaci solo loro in quanto possiedono hard, soft e anche medium skill con maionese e ketchup e tutti noi possiamo solo pendere dalle loro labbra se non addirittura inginocchiarci a cotanta conoscenza.
I messaggi privati dove ti arrivano promesse della nuova età dell’oro, la tua età dell’oro e finisce che ti vogliono a vendere integratori alimentari per truffare la gente – non considerando che l’offerta di lavoro fatta a te per primo è una truffa. Questo è solo un esempio, ma anche come ad un web designer al quale scrivono per creare un sito come “colloquio di lavoro” per poi sicuramente – almeno al 99% – lasciarlo a casa ed usare quella manodopera gratuita con altri soggetti magari meno portati. Se poi ti metti nel ruolo di assertivo e di persona i cui neuroni riescono a creare almeno una sinapsi, passi per lo sfaticato, il saccente, il presuntuoso e ti attaccano – o almeno ci provano – alla base del tuo “io” cercando di screditarti in primis con te stesso… Ovviamente con scarsi risultati se non un’incazzatura di almeno un quarto d’ora!
I post che condividi in prima persona: se scrivi di un tuo successo e sei “tranquillo”, ricevi reazioni, commenti e gloria; se invece ti poni in maniera più critica…
Se ti poni in maniera più critica perché dietro ad una problematica ci sono persone e magari sistemi informatici gestiti, indovinate, da persone incapaci, perché di incapaci stiamo parlando, allora ritornano tutti gli aggettivi usati sopra. I tuoi collegamenti, e non solo, anche i secondi gradi, ti commenteranno aspramente intimandoti (e non invitandoti) a modificare quanto scritto se non ad eliminare il post. E se non lo fai? Sei una “bestia, capra, ignorante”. Ringrazio Sgarbi per aver fornito questa citazione.
In sostanza, cosa differenzia Linkedin da Facebook dove i cosiddetti boomer scrivono “Buongiornissimo kaffèèè???”, caricano foto di santi e madonne e ti commentano con delle paternali assolutamente non richieste?
A mio avviso poco o niente. Sicuramente su Linkedin non mettono i “Buongiornissimo kaffèèè???”, ma non mancano – né immagino mancheranno mai – commenti arroganti, saccenti e con la volontà di farsi grandi tentando di schiacciare chi è più giovane e magari in una condizione non ideale in quel determinato momento.
Questo, personalmente, mi dà sempre una sensazione sgradevole e mi fa arrabbiare perché potremmo sempre fare tutti un passo indietro, contare fino a 10, ragionare e cercare di dare un reale contributo. Se dobbiamo fare un critica, che sia costruttiva – e sulle critiche NON costruttive mi sono dilungato anni fa.
Penso a me che sono diabetico da più di 26 anni su 28 di onorata carriera di vita e lavoro in un’azienda che si occupa della mia patologia… Dal giorno -1 e dal giorno 0, intendo ai colloqui, non ho mai dato modo di far passare di saperne di più. Una volta assunto, questa presunzione non è mai nemmeno sorta. Sapete perché?
È vero, ho il diabete di tipo 1 da quando ne ho memoria, ma non è l’unico tipo e la percentuale di pazienti nella mia condizione è inferiore a quella di pazienti affetti da tipo 2.
Io proporrei una vasca di umiltà in cui organizzare un pool party e rendersi conto che, prima di tutto, siamo persone, con esperienze di vita e professionali differenti e non sappiamo – né forse mai sapremo – cosa abbiamo passato – e cosa passeremo – per arrivare a dove siamo e dove saremo in futuro.
Il rispetto non deve mai mancare, specialmente con persone che, tutto sommato, sono sconosciute e, con buone probabilità, rimarranno tali.